Quando riflettiamo sulle radici del jazz, immediatamente le latitudini del pensiero ci fanno viaggiare con la memoria alle sonorità oltreoceano come se gli Stati Uniti fossero l’unica fonte di produzione musicale colta e non classica del ‘900. Con uno sforzo intellettuale maggiore invece, possiamo renderci conto che a casa nostra di produzione colta ce n’è stata eccome e che, proprio dalle sonorità afroamericane, ha mosso i suoi passi per poi mescolarsi con le fondamenta della cultura e del folklore italiano. Un nome importante su tutti è quello di Renato Carosone che, tra i musicisti italiani del dopoguerra, è quello che è riuscito ad inglobare sia le esperienze della musica classica e popolare che quella delle grandi orchestre del jazz tra le due guerre, grazie anche ala permanenza in Africa a contatto con le truppe americane.
Ed è nel solco di tali influenze che il chitarrista Maurizio Patarino ha deciso di muovere i suoi passi discografici con “Carosonissimo – Italian Standards”, suonando, arrangiando e reinterpretando in chiave jazz con intelligenza e dosando le contaminazioni afroamericane con il rispetto del background culturale partenopeo. La vera novità è proprio quella di riarrangiare per chitarra composizioni che avevano come caratteristica fondamentale l’utilizzo del pianoforte, sviscerato da Renato Carosone in ogni sua timbrica e registro. Ad incorniciare il tutto con la sua voce cristallina, Stefania Lonero, la quale riesce abilmente a dare anima ad un repertorio di non facile interpretazione. Il disco è un vero e proprio amarcord emotivo e sonoro che ci riporta indietro nei fasti della grande musica italiana e al contempo si mantiene ben saldo negli ambiti della modernità, attualizzando il tutto con arrangiamenti e ritmiche contemporanee.
Sin dal primo ascolto con “Tre numeri a lotto” si parte con un fast swing fresco e divertente per approdare a “Caravan Petrol” con un intento jungle latin e l’aperta citazione di Caravan di Duke Ellington e Juan Tizol, musicista spesso punto di riferimento per Carosone. “‘Maruzzella” è una ballad con l’intensità emozionale del continuo crescendo delle dinamiche. “Pigliate ‘na pastiglia” ha nuovamente un afflato swing scanzonato e allegro, mentre in “Guaglione” è la percussività latin a farla da padrone. Un accattivante cambio ritmico introduce l’obbligato che accompagna una modernissima rivisitazione in 5/4 di “‘O sarracino”. “Renato” invece è l’unico brano composto per l’occasione da Maurizio Patarino, ballad strumentale, che da Napoli ci fa viaggiare sino alla New York dei giorni nostri, con un’atmosfera da jazz club vissuto e immancabili riferimenti a Carosone. Poi un salto nel passato grazie al classico comping swing per “Chella la” e il ritmo poliedrico, dal bolero al cha cha (come la canzone stessa suggerisce) di “Torero”. Il disco si chiude con la nostalgica ballad “Amaramente” e il medium swing della forse più conosciuta in assoluto del repertorio di Carosone: “Tu vuo fà l’americano”.
Ad accompagnare le fatiche di Maurizio Patarino un’abile sezione ritmica composta da Dario Di Lecce al contrabbasso e Giuseppe Battista al basso elettrico, Antonio Ninni alla batteria e, special guest, il sassofonista Renato D’Aiello, che sfoggia momenti di grande virtuosismo eclettico.
Le sapienti mani da chitarrista virtuoso e arrangiatore di Maurizio Patarino, la voce di Stefania Lonero e la band al seguito, confezionano dunque un disco di gran classe, a cavallo tra differenti generazioni musicali che s’intersecano in un sincretismo sonoro ingegnoso, brillante, di ottima fattura e godibile in ogni sua nota, abbracciando una larga fetta di ascoltatori: nostalgici della classica canzone partenopea e amanti del jazz in tutta la sua complessità.
Ed è nel solco di tali influenze che il chitarrista Maurizio Patarino ha deciso di muovere i suoi passi discografici con “Carosonissimo – Italian Standards”, suonando, arrangiando e reinterpretando in chiave jazz con intelligenza e dosando le contaminazioni afroamericane con il rispetto del background culturale partenopeo. La vera novità è proprio quella di riarrangiare per chitarra composizioni che avevano come caratteristica fondamentale l’utilizzo del pianoforte, sviscerato da Renato Carosone in ogni sua timbrica e registro. Ad incorniciare il tutto con la sua voce cristallina, Stefania Lonero, la quale riesce abilmente a dare anima ad un repertorio di non facile interpretazione. Il disco è un vero e proprio amarcord emotivo e sonoro che ci riporta indietro nei fasti della grande musica italiana e al contempo si mantiene ben saldo negli ambiti della modernità, attualizzando il tutto con arrangiamenti e ritmiche contemporanee.
Sin dal primo ascolto con “Tre numeri a lotto” si parte con un fast swing fresco e divertente per approdare a “Caravan Petrol” con un intento jungle latin e l’aperta citazione di Caravan di Duke Ellington e Juan Tizol, musicista spesso punto di riferimento per Carosone. “‘Maruzzella” è una ballad con l’intensità emozionale del continuo crescendo delle dinamiche. “Pigliate ‘na pastiglia” ha nuovamente un afflato swing scanzonato e allegro, mentre in “Guaglione” è la percussività latin a farla da padrone. Un accattivante cambio ritmico introduce l’obbligato che accompagna una modernissima rivisitazione in 5/4 di “‘O sarracino”. “Renato” invece è l’unico brano composto per l’occasione da Maurizio Patarino, ballad strumentale, che da Napoli ci fa viaggiare sino alla New York dei giorni nostri, con un’atmosfera da jazz club vissuto e immancabili riferimenti a Carosone. Poi un salto nel passato grazie al classico comping swing per “Chella la” e il ritmo poliedrico, dal bolero al cha cha (come la canzone stessa suggerisce) di “Torero”. Il disco si chiude con la nostalgica ballad “Amaramente” e il medium swing della forse più conosciuta in assoluto del repertorio di Carosone: “Tu vuo fà l’americano”.
Ad accompagnare le fatiche di Maurizio Patarino un’abile sezione ritmica composta da Dario Di Lecce al contrabbasso e Giuseppe Battista al basso elettrico, Antonio Ninni alla batteria e, special guest, il sassofonista Renato D’Aiello, che sfoggia momenti di grande virtuosismo eclettico.
Le sapienti mani da chitarrista virtuoso e arrangiatore di Maurizio Patarino, la voce di Stefania Lonero e la band al seguito, confezionano dunque un disco di gran classe, a cavallo tra differenti generazioni musicali che s’intersecano in un sincretismo sonoro ingegnoso, brillante, di ottima fattura e godibile in ogni sua nota, abbracciando una larga fetta di ascoltatori: nostalgici della classica canzone partenopea e amanti del jazz in tutta la sua complessità.
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